Flaviano Bianchini: io, la Lapponia e il Tibet

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Flaviano Bianchini: io, la Lapponia e il Tibet

Flaviano Bianchini è una guida ambientale, certo, ma è anche uno che batte i pugni sul tavolo tutte le volte che in qualsiasi parte del mondo vengono violati i più elementari diritti umani. Questa doppia passione viene fatta vibrare in due modi. Da una parte con la scrittura: la sua ultima pubblicazione “In Tibet, un viaggio clandestino” ha ricevuto la menzione speciale del Premio Chatwin “Viaggi di carta”, miglior libro di viaggio dell’anno. Dall’altra con l’attivismo declinato in campagne internazionali di informazione e di denuncia sulle storture di un sistema economico troppe volte egoistico e indifferente al bene comune. Dal 5 al 13 settembre 2014 sarà la guida del viaggio a piedi delle Vie dei Canti “Lapponia. Il Sentiero del Re”.

Come nasce l’idea di un viaggio a piedi in Scandinavia? Come hai conosciuto la Lapponia?

«Come molti altri posti ho conosciuta la Lapponia più o meno per caso. Avevo letto alcuni libri: le storie dei Sami, i grandi spazi e la solitudine di quei luoghi, la natura incontaminata. Poi un giorno mi sono ritrovato con un mese libero e, vagando in internet, ho trovato un biglietto a poco. Due settimane dopo ero in Lapponia».

Per chi è stato pensato questo viaggio?

«Per chiunque ami un viaggio senza comodità, grandi spazi, solitudine. Per una settimana si è totalmente isolati dal mondo. Il telefono non prende e non si attraversa nessun villaggio. Solo qualche rifugio molto spartano. Niente più. Bisogna stare bene con se stessi e amare il silenzio».

La spinta per l’organizzazione di un viaggio a piedi di gruppo è anche una conseguenza dei lunghi percorsi solitari che hai affrontato come quello da clandestino in Tibet?

«Secondo me un viaggio solitario è molto diverso da un viaggio in gruppo. Quando sei solo sei in qualche modo costretto ad interagire col mondo che ti circonda. Se sei in un gruppo ti ritrovi per forza di cose a relazionarti di più con gli altri membri del gruppo. Un viaggio in gruppo è anche amicizia, compagnia e divertimento. Un viaggio da solo è conoscenza. Del luogo che si visita e di se stessi. Poi quello in Tibet (da cui ne è stato tratto il libro “In Tibet, un viaggio clandestino“, IBIS Edizioni, Premio Chatwin per il miglior libro di viaggio del 2010, ndr) è stato un viaggio del tutto particolare. Giorni e giorni da solo e poi gli incontri con la storia di un Popolo oppresso e la sua cultura millenaria; le avventure per sfuggire agli incontri non graditi; i compagni di viaggio saltuari come monaci, contrabbandieri e pellegrini. Un viaggio a suo modo unico che non sarebbe stato uguale se io fossi stato in compagnia».

Qual è il migliore consiglio da dare a chi intende visitare il Tibet?

«Difficile dare dei consigli. Il Tibet non si può visitare liberamente. L’unico modo legale è visitarlo tramite un tour operator con licenza cinese ma questo significa avvallare e finanziare la presenza cinese in Tibet; e soprattutto vedere solo ciò che vogliono farti vedere loro. Secondo me l’unico modo per visitare il vero Tibet è farlo clandestinamente, ma certo questo non è facile e comporta dei rischi…».

Dove vivi nel corso dell’anno? E di cosa ti occupi?

«La maggior parte dell’anno vivo a Calci, un piccolo paese vicino Pisa, ma non ci sto molto dato che tra lavoro e passione sono sempre in viaggio. Sono il direttore di Source International, una organizzazione internazionale che si occupa di ambiente e diritti umani. In particolare ci occupiamo di dare un supporto scientifico e legale di alto livello alle comunità (per lo più indigene) che affrontano problemi di contaminazione ambientale e violazioni dei diritti umani legati alle industrie estrattive (grandi miniere, pozzi petroliferi). Lavoriamo un po’ in tutto il mondo ma in questo periodo il nostro focus principale è in Amazzonia dove diverse compagnie petrolifere stanno distruggendo la foresta e avvelenando le popolazioni indigene per estrarre petrolio a basso costo. Noi supportiamo le popolazioni locali con studi scientifici e aiuto legale in modo che possano ottenere un cambio di comportamento da parte delle multinazionali petrolifere».

Che rapporto c’è fra il viaggio e la scrittura?

«La scrittura è forse l’unico modo per raccontare veramente un viaggio. Perché fare un viaggio è relativamente facile, ma poi raccontarlo e trasmetterne le emozioni che suscita è una delle cose più difficili al mondo. Anche i migliori fotografi e cameraman del mondo fanno fatica a trasmettere il vero viaggio. Allora la scrittura in questo può aiutare perché lascia più margine di immaginazione ed immedesimazione al lettore rispetto ad altre forme di “racconto del viaggio” come la fotografia o il film o anche solo il racconto».

C’è una componente di spiritualità nel cammino?

«Tutte le grandi religioni contemplano dei pellegrinaggi, da fare rigorosamente a piedi. Secondo alcuni studiosi le religioni hanno “inventato” questi pellegrinaggi proprio per obbligare la gente a meditare per lunghi periodi. Il cammino è visto come mezzo di unione tra l’uomo e la spiritualità. Poi, secondo me, nel cammino uno trova quello che ha dentro. Se uno la spiritualità ce l’ha, sicuramente la trova con il cammino. Se non ce l’ha, non è certo il cammino che se la può “inventare”».

La violazione dei diritti umani, di cui ti occupi, rappresenta di per sé una questione delicata. Hai mai ricevuto minacce di morte?

«Diciamo che in generale il nostro lavoro non ci rende particolarmente simpatici a governi e multinazionali. Nel tempo hanno cercato di impedirci di lavorare con tutti i mezzi possibili: minacce di morte personali, denunce, violazioni della casella di posta elettronica, ci hanno bloccato i finanziamenti, mi hanno espulso dal Guatemala, ce ne hanno fatte di tutti i colori».

E come avete reagito?

«La nostra reazione è sempre stata quella di andare avanti per la nostra strada. Certo non è facile, però abbiamo anche ottenuto dei grandi successi come la dichiarazione di incostituzionalità della legge mineraria dell’Honduras per violazione al diritto alla salute, o il riconoscimento da parte della Commissione Inter-Americana dei Diritti Umani delle violazioni commesse da una compagnia mineraria in Guatemala o ancora il cambio dei metodi estrattivi di una compagnia petrolifera nel cuore dell’Amazzonia».

A proposito di America Latina, quali ricadute può avere per questi territori la scelta della Chiesa di eleggere un Papa argentino?

«Certo un Papa latinoamericano può aiutare a rendere un po’ più visibile il “continente invisibile” però tutto dipenderà da come questo Papa affronterà certi problemi. Per ora si è presentato al mondo con un bel nome (ed è abbastanza scioccante che ci siano voluti quasi mille anni perché un Papa decidesse di chiamarsi come il santo di Assisi) e un bel modo di fare; ma bisogna aspettare i fatti. Perché va bene parlare dei poveri e cercare di sfamarli. Ma bisogna anche capire perché sono poveri ed evitare che lo diventino ancora di più. E lì sta il grande balzo che dovrebbe compiere la Chiesa, ma anche la nostra società in generale».

Hai viaggiato da Nord a Sud e da Est a Ovest del mondo: qual è il posto in cui hai trovato maggiore felicità?

«Nel mezzo. Quando non ero né a Nord né a Sud né a Est o a Ovest. Ma quando andavo verso quei luoghi. La felicità sta nel viaggio in sé e non nella meta».

Tra Terra e Cielo
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Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

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