Sveglio ma sornione, disponibile ma con le idee chiare, si potrebbe dire che Luca Berchicci, guida romana, sia il compagno di viaggi ideale. Poche parole ma ben calibrate bastano per raccontare il valore del viaggiare, la potenza del camminare, la bellezza della conoscenza, la magia della Tuscia libera e gli imprevisti, anche di cuore, dell’andare a piedi.
Luca, ti definisci un convinto viaggiatore fai da te. Da dove nasce questa sicurezza?
«Dall’importanza di visitare luoghi e territori con libertà e con calma. La mia indole è quella di “girandolo”, che mal si concilia con i modi delle agenzie turistiche in cui i pacchetti di viaggio sono costruiti con più cose di quanto effettivamente si fa in tempo a visitare».
Come dire, vedere meno ma vedere meglio…
«Esatto, proprio così. Ogni passo in un cammino è un’occasione di dialogo con le persone e di conoscenza dei territori: un’opportunità da non sprecare».
Con tempi più dilatati c’è anche la possibilità per i camminatori del gruppo di svelarsi a poco a poco e di conoscersi meglio…
«Già, i numeri grandi non vanno d’accordo con la qualità dell’esperienza. E il rapporto tra e con i partecipanti viene spesso sacrificato o considerato un aspetto secondario. Credo invece che sia una parte importante del cammino».
Qual è il giorno più importante di un viaggio a piedi?
«Il terzo perché è il più impegnativo dal punto di vista fisico e da quello mentale. Nel primo si è sprintosi ed energici, nel secondo si mantiene ancora il desiderio di andare avanti, mentre il terzo è quello più faticoso perché si va in rottura con il proprio modo di vivere e con le prestazioni del proprio fisico».
E dal quarto in poi?
«Si va in discesa perché si è ormai preso confidenza con il fisico, il territorio che si attraversa e il gruppo. Si smorza quella diffidenza animalesca verso ciò che non si conosce».
Perché hai scelto il mestiere di guida?
«Tutto è nato con il servizio civile svolto in alternativa al servizio militare. Ho trascorso un anno nell’oasi WWF di Orbetello, in Maremma, dove ho guidato le prime visite degli ospiti, ho conosciuto molta gente e iniziato ad ambientarmi. Ma in realtà, sono sempre stato un campeggiatore, un amante della montagna e della canoa, altra parte della mia vita».
E camminando hai conosciuto Daniela…
«Sì, l’incontro fatale è avvenuto in occasione di una riunione di guide e adesso, oltre a condividere la vita, ci dividiamo gli accompagnamenti nei viaggi a piedi».
Dove sta la potenza del cammino, quella per cui quando torni a casa dopo un viaggio a piedi sei diverso nel corpo e nella mente?
«Nella semplicità. Riportare tutto all’essenziale, come avviene per forza di cosa nel deserto, dove non hai distrazioni o preoccupazioni al di là delle esigenze di cibo e di acqua, ha un forte impatto sui camminatori. Quando vai, quando cammini, non hai bisogno del superfluo. Camminare è un mantra che dà ritmo ai passi e al respiro. I viaggi a piedi sono pause accessibili a tutti di decrescita felice».
Basta così poco?
«Sì ma c’è una controindicazione. Soprattutto nei cammini lunghi è difficile fermarsi e tornare nella normalità».
Chi sono i santi e i briganti del viaggio a piedi di Capodanno tutto intorno al Lago di Bolsena?
«I briganti sono i Robin Hood che vivevano in questi territori di confine tra lo Stato della Chiesa e i potentati della Toscana. E siccome questa è una terra di contrasti, non potevano mancare i santi. In fin dei conti, il Viterbese è sempre stato un posto legato alla Chiesa. Ma questa è soprattutto la terra del lago di Bolsena, cuore della civiltà etrusca. È il più grande lago vulcanico d’Europa e il secondo al mondo, senza dubbio un luogo carico di energia. E poi, tutti concordano nell’individuare proprio qui il Fanum Voltumnae ovvero il punto di ritrovo delle riunioni annuali dei rappresentanti della lega delle città etrusche per discutere delle più importanti questioni».
Cosa aspettarsi da un viaggio a piedi proprio a Capodanno?
«Sicuramente tanti panorami da portarsi con sé per il resto dell’anno, un ambiente ancora molto agreste e soprattutto vero. Se la città di Roma è sempre stata accentratrice di risorse e persone, la Tuscia è rimasta viva, essenziale e genuina. È un viaggio invernale per cui occorre solo un minimo di preparazione allo stare all’aria aperta con la consapevolezza che gli imprevisti meteorologici possono essere dietro l’angolo».
Ti senti un romano o un etrusco?
«Mi sento un etrusco di adozione (ride, ndr). Sono innamorato di questi posti per gli ampi spazi. Ci sono sempre orizzonti e tanta aria: un invito al viandare».
Viandare? Credo che non abbia utilizzato a casa questo verbo…
«Direi di no… I tempi sono comunque cambiati. Stiamo passando dal modello Cai ovvero conquista della vetta, al modello viaggi a piedi ed è un grande conquista. Ma occorre fare una distinzione tra cammini».
Quale?
«I nostri non sono pellegrinaggi e hanno uno spirito laico. Non cerchiamo tendiniti e sofferenze. Noi siamo dalla parte godereccia del viaggio a piedi. E per godereccia intendo che le vesciche non sono obbligatorie e non ci interessa camminare 35 km per penitenza. Amiamo la meditazione, che il cammino porta inevitabilmente con sé, ma non la sofferenza. Tuttavia sta nascendo un nuovo fenomeno. Ai ritmi lenti e agli ambienti naturali dei viaggi a piedi, si stanno affiancando cammini su strade, anche asfaltate, in cui l’essenza è il raggiungimento della meta. Si trasferisce il modello della città al cammino. Che è un’assurdità».
A proposito, come avete diviso il lavoro: chi guiderà il viaggio a piedi di Capodanno, tu o Daniela?
«Ci sarò io!».
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RIFERIMENTI:
Ricomincio da Bolsena – 28 dicembre 2016 – 3 gennaio 2017