Sergio Giovannoni è un uomo vero. Uno di quelli che parla poco, anche perché abituato a parlare poco con la bocca e a farsi capire con gli occhi, i gesti e i sospiri trattenuti, quasi timidi e sicuramente sinceri, quando racconta le montagne. Le sue montagne, quelle della Valle d’Aosta. Ecco, camminare con lui da quelle parti è un po’ una metafora della vita: sopra cime appuntite, gole, muraglie, cenge, speroni, castelli di roccia; sotto boschi, prati, pendii verdi, ruscelli gorgoglianti. Il tutto in un contrasto perenne fra l’aspro e il dolce, il repulsivo e l’accogliente, l’aguzzo e il morbido, l’arduo e l’agevole.
Sergio è l’immagine della montagna. I capelli un po’ lunghi, qualche ruga che spunta a tradimento, la barba qualche giorno più folta del solito. Con lui ho parlato telefonicamente e lo immaginavo seduto su una sedia a dondolo di vimini mentre scrutava le ombre che calavano sulla valle, quando la luce si smorza nell’ombra della sera e il tramonto colora il lontano orizzonte di cremisi e porpora finché giunge il blu profondo della notte. E lui sempre lì, con lo stesso senso di profonda e incrollabile fedeltà per le sue montagne.
Sergio, prima di parlare di montagne, ru e viaggi a piedi, cos’è questa storia del miele bio come integratore?
«Si tratta della vendita di una bustina da 70 grammi di miele millefiori biologico valdostano, da me realizzata, con 20% di passato di castagno, da mettere nello zaino prima di una gita, per gli sportivi sottoposti a sforzi fisici in montagna, dall’alpinismo ai trail, dal trekking allo scialpinismo».
E la risposta qual è stata?
«Tutto esaurito. Delle seimila bustine prodotte non è rimasto più nulla e stiamo ora pensando a una seconda serie».
Perché proprio il miele?
«Perché ne sono produttore e perché è immediatamente assimilabile».
Cosa sono i leggendari ru della Valle d’Aosta dove porterai a camminare a maggio (da giovedì 12 a domenica 15, ndr)?
«Sono i canali di irrigazione costruiti dai romani, andati poi in decadenza, che prendono acqua dai ghiacciai per poi raggiungere le zone coltivate, dai pascoli di montagna alle colline di fondovalle. Accanto ai ru ci sono i sentieri, più o meno grandi e facilmente percorribili, che all’origine sono stati pensati per loro manutenzione e ora sono utilizzati per camminare».
E poi c’è il sentiero del Papa…
«Sì, è la passeggiata a cui era solito dedicarsi Papa Giovanni Paolo II. È un po’ turistica, ma il percorso è panoramico su tutta la Valle d’Aosta».
Cos’è per te il camminare?
«Avventura. Andare in montagna è un’avventura. Le cose che si vedono sono tante e sempre diverse: il bosco, il prato, il sentiero, la cima, la cresta. E poi le volpi, i tassi, gli scoiattoli, i ghiri, le civette, le lepri, i caprioli e i camosci. Alzando lo sguardo non è difficile scorgere la poiana, l’aquila e i gracchi alpini».
Come hai iniziato?
«Con i nonni, in maniera rustica. Poi ho seguito tutte le tappe canoniche: l’iscrizione al Cai, i corsi come guida naturalistica e le prime camminate con gruppi. Sia in Valle d’Aosta che altrove, i viaggi a piedi sono per un pubblico molto di nicchia. All’estero e soprattutto nel centro Europa le cose sono diverse: si incontrano molte famiglie che fanno escursioni con competenza e preparazione. La Valle d’Aosta offre qualche richiamo in più e quindi anche le guide hanno maggiori possibilità».
Messner dice che quando guarda le montagne avverte i loro sentimenti dentro di lui. Li sente come Beethoven sentiva i suoni nella testa quando era sordo e componeva la Nona sinfonia…
«Anche per me comune mortale è così. La montagna trasmette emozioni a chi è in grado di provarle. Altrimenti non sarebbero altro che un mucchio di sassi allo stesso modo di come la Gioconda non sarebbe che una tavola di pioppo con la vernice».
Pratichi anche l’alpinismo?
«A livello medio perché ormai è una disciplina che ha raggiunto un livello mostruoso».
Tra queste montagne c’è un modo in cui riesci a dare sfogo alla laurea in Scienze Fisiche?
«Nell’ambito della ricerca non ci sono molte possibilità, ma l’Osservatorio astronomico a Saint Barthélemy di cui sono guida è un’ottima valvola di sfogo. Questo è un mondo fantastico, un vero tempio della scienza dove si vedono cose fantasmagoriche, vere e molto grandiose. L’aspetto più entusiasmante è proprio il funzionamento dell’Osservatorio: non siamo negli Stati Uniti e neppure in casa tedesca, ma… nella little Italy! Anzi, nella regione autonoma Valle d’Aosta».
Tolti gli scarponi, sei un imprenditore di te stesso che segue una vita secondo i ritmi delle stagioni…
«Sì, perché con la conduzione di una fattoria didattica e di un’azienda agricola con i frutteti e con 80 alveari per la produzione di miele e propoli, non può che essere così. Poi noi vendiamo quasi tutto direttamente secondo la logica più pura dal produttore al consumatore».
Da quanti anni ti occupi dell’azienda agricola?
«Come azienda vera e propria dal 1990, ma avevamo iniziato già negli anni 80. Vedere le api che da animali selvatici si risvegliano ed escono dalla porticina della mia arnia, rimane sempre una grande soddisfazione».
Sei uno degli storici amici di Tra Terra e Cielo, l’associazione mamma delle Vie dei Canti. Com’è nato il rapporto?
«Avevo letto sulla rivista Aam Terra Nuova della nascita di questa associazione nei primissimi anni 80 e alla seconda o terza escursione organizzata sulle Alpi Apuane avevo partecipato anche io».
Roba per gente tosta…
«Sì sì, senza dubbio».
Cosa ricordi di quelle esperienze?
«Fantastici viaggi all’insegna del più rigoroso macrobiotico. Si poteva partecipare contribuendo con proprie attività. Ma soprattutto ci sono gli amici, trovati tanti anni fa, e rimasti tali ancora adesso. Non è poco».
Quali sono oggi i tuoi sogni?
«Fare ancora qualche avventura».
Camminare, dunque…
«Sì».
Un’ultima curiosità: sei mai andato in vacanza al mare?
«Sì, da piccolino, ma non sono mai andato su una barca. Forse è un’avventura anche quella (sorride, ndr)».
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RIFERIMENTI:
Viaggi a piedi Le Vie dei Canti