Per cinque giorni fuori dal mondo | Fiorella Caria

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Per cinque giorni fuori dal mondo | Fiorella Caria

Non conoscevo Fiorella Caria ed ero perciò impaziente di parlare con lei. Sentir discorrere una guida ambientale su cammini e camminatori è sempre piacevole, ha un sapore onirico e ha il potere di far sollevare gli angoli della bocca di chi l’ascolta. Le scrivo allora una mail per fissare un appuntamento e mi risponde con due righe affermative in cui spiccano le parole grazie, piacere e felice. So già che mi troverò davanti a una persona entusiasta e ne ho subito la conferma quando a mezzogiorno in punto della prima fredda giornata dell’anno, inizia a raccontarmi del cielo azzurro della sua Sardegna. «C’è un po’ di vento – aggiunge con una punta di fierezza – ma da queste parti è normale».

Fiorella, quando hai iniziato a viaggiare a piedi?
«Nei primi anni di università, quando ho conosciuto amici amanti delle attività all’aria aperta, speleologi e trekker. Da lì è iniziato il mio cammino, in Sardegna soprattutto, poi anche in Corsica, in Toscana e in Liguria. I primi percorsi sono stati eroici, ma pensandoci adesso, non erano proprio alla mia portata (sorride, ndr)».

Questo di guida ambientale è il tuo unico lavoro?
«In linea di massima sì. Conduco gruppi all’Asinara da marzo a novembre mentre negli altri mesi faccio altri tipi di escursioni, oltre a corsi di formazione e di educazione ambientale. Sono guida del Parco nazionale dell’Asinara e del Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna. Si tratta comunque di attività tutte legate tra di loro».

Qual è la molla che spinge a fare un viaggio a piedi?
«È la curiosità a indicarci una direzione anziché su un’altra. Penso a me, ad esempio, e al mio interesse per l’archeologia industriale e l’archeologia mineraria della Sardegna».

Qual è il fascino dell’archeologia industriale? Non si tratta evidentemente solo di ruderi, ma di un patrimonio vivente da collettivizzare…
«Qua in Sardegna, soprattutto dal punto di vista minerario, c’è sempre qualcosa da scoprire. Non è tanto il luogo in sé a dover essere valorizzato, ma quello che racconta. Ecco, credo che il fascino stia nel farsi raccontare la storia di chi c’è stato e di chi ha lavorato. Dalle ville antiche agli stabilimenti industriali, esiste un mondo che non vediamo più, ma che c’è stato. La Sardegna è sempre stata sfruttata ed esibisce tante cicatrici sul territorio. Sono storie molte intense ed è spesso difficile anche solo raccontarle per lavoro. Ci sono intimità in cui entrare con rispetto».

Nella presentazione al sito Vie dei Canti scrivi che ti “piace ascoltare i silenzi che parlano della mia terra”. Ci spieghi cosa vuoi dire?
«Il silenzio non è mai il silenzio. Mentre tutto attorno a te sta tacendo, in realtà stai ascoltando mille cose fuori di te che non possono lasciare indifferenti. A me piace ascoltare il nulla che non è mai veramente il nulla. Mi viene in mente la discussione che ho avuto pochi giorni fa con un amico di Lecco che si era lamentato del vento durante un’escursione. Anche il vento, secondo me, andava ascoltato».

Scrivi anche che “camminare con altre persone è scambiare esperienze con occhi sempre nuovi, diversi dai miei”…
«Il viaggio è arricchimento personale anziché un dare. Questa “regola” vale anche per le guide. Mi piace capire e mi riempie di entusiasmo vedere come le stesse persone, pur osservando le stesse cose che vedi tu, riescano a trovare qualcosa di diverso. Camminare con altre persone significa conoscere tanti piccoli mondi, spesso diversi dal tuo, che inevitabilmente portano a un grande arricchimento. Più in generale, penso che se non ti piace stare con le persone, il mestiere di guida ambientale diventa un lavoro».

Dal 21 al 26 giugno 2016, indosserai per la prima volta gli abiti di guida delle Vie dei Canti per il viaggio “Asinara, isola fuori dal tempo”. Agli aspiranti partecipanti consigli di allenarsi?
«Questo è un viaggio per tutti che non presenta particolari difficoltà. Alcuni percorsi sono un po’ più lunghi, ma sono bilanciati da lunghe pause. Sono cinque giorni fuori dal mondo, in cui alla bellezza della natura si associa una esperienza interiore molto intensa. In alcuni tratti il solo momento di socializzazione, al di là del gruppo in cammino, può essere rappresentato dall’ostello che ci ospita».

Cosa rimane del carcere dell’Asinara?
«Dodici strutture in condizioni più o meno buone. Quando si viene all’Asinara si parla anche di carcere e si deve parlare di carcere. Ci passi vicino e non puoi non parlarne. D’altronde prima era una colonia penale e c’è tanto da scoprire».

Qui si trova il vero silenzio di cui parlavi prima…
«Sì sì, qui sì».

Possiamo dire che l’approccio per questo viaggio non deve essere quello del trekker, ma quello del viandante fuori dal tempo che procede con il passo dell’iniziato, lo sguardo affilato e la memoria popolata di storie?
«Direi di sì perché sei talmente bombardato da input, l’ombra di un albero o il profumo di un fiore, che è impossibile rimanere indifferenti. Sono anni che cammino da queste parti e non è mai successo che qualcuno rimanesse estraniato. Ogni angolo ha qualcosa da raccontare».

Che effetto fate alle persone che incontrate lungo il cammino?
«C’è una sorta di riconoscimento positivo e di simpatia, magari trasmessa solo con uno sguardo. Tante volte non ci si parla neanche, ma ci si capisce».

Sei una guida ambientale con una laurea in Scienze naturali per cui hai una esperienza tecnica associata a una preparazione teorica. Come riesci a far sentire a proprio agio e con passo sicuro i camminatori e nello stesso tempo renderli partecipi di ciò che li circonda?
«Sono importanti i primi dieci minuti perché riesci a inquadrare le persone e capire chi è il più giocherellone e chi il più silenzioso. C’è una fase di reciproca e naturale osservazione. Sta poi alla guida capire gli interessi dei partecipanti e rendere speciale la visita. Certo, ci sono dei passaggi che si ripetono sempre, ma l’escursione non è mai uguale. Il nostro lavoro è anche offrire una chiave di lettura del territorio e non solo fornire informazioni».

Le nuove generazioni sono sensibili al camminare?
«Quando sei giovane non conosci tutte le cose belle che puoi fare se non c’è qualcuno che ti dice che esistono. È valso anche per me: se qualcuno non me lo avesse detto ai tempi dell’università, forse avrei fatto altro. Probabilmente c’è anche un problema di educazione alla vita all’aria aperta considerando che a qualcuno spaventa l’assenza di città e la totale immersione nella natura».

E se tra i banchi dell’università i tuoi amici avessero fatto i fatti loro?
«Credo che sarei comunque rimasta nel campo ambientale. Ho la sensazione che nella vita non sempre abbia deciso io (ride, ndr). Spesso si prospettano situazioni nuove senza che le cerchi e a quel punto decidi se andare avanti. L’importante è farsi trovare pronti quando l’occasione si presenta».

 

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RIFERIMENTI:

 Viaggi a piedi Le Vie dei Canti


Tra Terra e Cielo
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Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

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