Nino Guidi ha proprio l’aria di un viaggiatore. Magro e resistente, lo vedi camminare con vigore senza mai strascicare i piedi. Indossa un paio di scarponi da trekking, pantaloni comodi, una camicia leggera di cotone e un grosso zaino alle spalle. La grandezza non deve tradire: là dentro c’è solo l’essenziale. Ha il viso solcato dalla gioia e dalla fatica di tanti cammini, spesso in compagnia, tante volte in solitaria «per trovare buone idee». I capelli sono corti, più sale che pepe. L’aspetto è di uno di cui ci si può fidare: una guida in grado di raccontare storie speciali.
Il tuo cammino con le Vie dei Canti inizia a marzo con il viaggio all’Isola dell’Elba. Qual è la storia che racconti?
«L’Elba è un’isola speciale ed è sempre stata una terra contesa: dagli etruschi che la sfruttavano per il ferro ai romani che hanno scoperto fonti termali passando per gli arabi. Ognuna di queste popolazioni ha compreso e utilizzato le risorse del territorio. Noi (dal 12 al 15 marzo 2015) andremo sulle loro tracce. Trovo singolare come l’uomo moderno sia andato nella direzione opposta. A differenza dei popoli antichi che l’hanno valorizzata al meglio, quelli moderni non sono stati in grado si percorrerne le orme. Basti vedere la cementificazione eccessiva di parte dell’isola e la predominanza della natura selvaggia rispetto alla coltivazione, come quello della vite, per cui l’Elba era famosa».
Poi si prosegue con la Via del Volto Santo a giugno dalla Lunigiana a Lucca passando per la Garfagnana…
«La Via del Volto Santo è una via Francigena più antica di quella ufficiale. Ripercorriamo i tracciati utilizzati dai pellegrini e dai mercanti per raggiungere Lucca, dove si venerava il Volto Santo, un grande crocifisso di legno, noto come Cristo nero, su cui ancora si dibattono interpretazioni e si narrano leggende. Il viaggio inizia da Pontremoli, incrocio delle vie di pellegrinaggio, saliamo sulle colline, attraversiamo borghi, ruscelli e calchiamo tratti di strade ancora selciate. C’è un’importante premessa da fare…».
Quale?
«Vengo da un modo di camminare e di affrontare l’ambiente naturale che si rifà agli anni 80, quando l’escursionismo muoveva i primi passi in Italia. Io credo, come dicevano gli antichi, che solvitur ambulando (si risolve camminando, ndr) e cerco di comunicarlo ai camminatori. Non si tratta solo di fare un’escursione, ma di mettersi in cammino e attraversare il mondo, la storia e gli ambienti antropizzati con la massima apertura mentale».
A chiudere il cerchio dei cammini di primavera c’è la Via dei Navicelli da Livorno con tanto di giro in battello…
«Sì, dalla cripta di San Iacopo in Acquaviva a Livorno, luogo di riferimento per il transito dei pellegrini nel medioevo, andiamo verso la Livorno medicea con i suoi canali e la fortezza. Dal molo di fronte ai ben noti Quattro mori, un servizio di battello ci permette di solcare i canali della “Venezia toscana”. Lo sbarco avviene sulla sponda sud del Canale dei Navicelli da cui riprende il nostro cammino che ci conduce, fra l’altro, alla Basilica di San Piero a Grado, ai lungarni e alle chiese romaniche di Pisa alle sponde del fiume».
In un viaggio a piedi il paesaggio e i monumenti passano in secondo piano rispetto alle relazioni e ai rapporti con le persone incontrate. Sei d’accordo? È forse questa una delle chiavi per distinguere un viaggio a piedi da un viaggio tradizionale?
«La componente relazionale è fondamentale. Che il viaggio sia vicino o lontano è questo l’aspetto che fa la differenza, anche di più dei paesaggi e della natura. Il valore aggiunto è il rapporto che si stabilisce con le persone e le popolazioni che si incontrano e tra i partecipanti stessi. È un arricchimento per tutti i camminatori che lo portano con sé una volta tornati a casa».
Cos’è il cammino ritrovato?
«È il titolo di un mio libro che ha una doppia valenza. Da una parte è il pellegrinaggio che ho fatto dall’Islanda all’Italia, seguendo la via dell’abate Nikulas Bergsson di Munkathvera. Il cammino è stato lungo circa 3.600 chilometri e ci sono voluti 150 giorni. Sono partito dall’Islanda e poi, in nave, ho raggiunto la Norvegia e quindi attraversato a piedi Danimarca, Germania, Francia, Svizzera, fino all’Ospizio del Gran San Bernardo dove sono entrato in Italia sulla Via Francigena a Roma, la meta finale. Ma è anche il cammino di Nino Guidi che ha trovato un nuovo orientamento per la propria vita con nuovi progetti di solidarietà e di collaborazione».
Cosa ti ha spinto a diventare una guida ambientale?
«Venticinque anni di escursionismo e il desiderio di condividere con altre persone le emozioni e le mie conoscenze».
Sei anche un artigiano del legno…
«Sì e credo che l’attività di restauratore sia simile a quella della guida: ci vogliono creatività e fantasia. Da restauratore, nel mio laboratorio a Cascina, reinvento gli oggetti così come da guida immagino nuovi percorsi».
Perché hai scelto il nome Montagne di Legami per la tua associazione?
«Perché in queste esperienze non c’è solo la componente fisica ma anche quella relazionale. Ancora una volta è stato decisivo il viaggio a piedi dall’Islanda a Roma. Da lì è nata l’idea di far nascere qualcosa, coinvolgere altre persone in nuovi progetti e di lasciare aperte quante più porte possibili».
Proviamo a stimare il numero dei giorni all’anno in cui sei in cammino?
«Almeno la metà dei giorni. Spesso cammino anche in solitaria perché ci si misura con se stessi e con le nostre paure. Almeno una volta a settimana sono fuori per escursione e nel week end sono sempre in movimento. Quando è possibile lego l’escursione a una mostra o a un evento speciale».
Camminare è…
«Aprirsi al mondo e conoscere se stessi».
Qualcuno ti ha mai detto che con il tuo aspetto fascinoso e misterioso avresti potuto fare l’attore?
«No, a dire il vero no. Ma non riuscirei a vestire quei panni: sono troppo sincero e diretto».