Dieci uomini e il grande sogno di un viaggio a piedi

Quelle due o tre cose che so della vita e di Tra Terra e Cielo
27/07/2016
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Dieci uomini e il grande sogno di un viaggio a piedi

Questo che segue è un breve racconto di fantasia. I personaggi, anche se non contemporanei tra di loro, sono o sono stati reali e le citazioni autentiche. Partire e vedere posti vicini e lontani da noi ci rende persone migliori.

Sono in dieci e devono decidere dove andare. In comune hanno solo il desiderio, anzi, la fregola di andare, quella cosa che senti dentro, rimane per una manciata di secondi sotto pelle come un’improvvisa scossa elettrica e se avesse un odore sarebbe così intenso da far eccitare fino a far provare quasi dolore. Il primo a prendere la parola e a proporre una meta è Antoine de Saint-Exupéry: «Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualche cosa risplende nel silenzio». Nessuno replica perché tutti sono stupiti che sia stato proprio un aviatore abituato al rumore a esprimere il desiderio di ascoltare il silenzio. Si dice che stia scrivendo un libro speciale: la favola di un ragazzino che vola tra stelle e pianeti in cui fa dire a una volpe che “l’essenziale è invisibile agli occhi“.

La voce è da tempo arrivata alle orecchie di David Le Breton, scrittore sempre molto attento alle novità editoriali, che annuisce, spezza il silenzio e ricorda che «ogni concessione al superfluo si paga in termini di fatica, di sudore, di rabbia. Camminare significa mettersi a nudo, scoprirsi in un faccia a faccia con il mondo». Camminare? Sì, proprio così: è questa la parola che accende il gruppo dei dieci. Il viaggio si fa e si fa a piedi. Ma attenzione, ammonisce Duccio Demetrio, aggregatosi in extremis solo al termine di un nuovo laboratorio tra fantasia e passeggiate nella natura organizzato fino al giorno prima nei boschi del Parco dell’Appennino toscano: è importante «passare senza lasciare tracce. Il compito del viandante è cancellare le tracce dietro di sé cogliendo un frutto, lasciando un nocciolo».

A quel punto Charles Baudelaire, visibilmente alterato, sbatte i pugni sul tavolo e scuote la testa. Una, due, tre volte, sempre più velocemente, mentre gli angoli della bocca si piegano sempre più lentamente verso il basso. «Il viaggio, non la meta», tuona con uno sguardo perso nel vuoto. «Il viaggio, non la meta», urla ancora, ma questa volta sfidando il gruppo. Guarda negli occhi ciascuno dei presenti e argomenta con un tono di voce appena un po’ più basso: «Il vero viaggiatore è chi parte per partire, chi dice soltanto: “Andiamo” e non sa perché come gli aerostati, a cuor leggero, senza mire». L’aria si accende e solo gli odori e i suoni della colazione domenicale di Vanda all’Argentario che uscivano dalla cucina, permettevano al gruppo di aspiranti viaggiatori di spostare i pensieri su altro.

Ci pensa Robert Louis Stevenson, con il viso imporporato dalla timidezza, a riprendere la discussione dopo aver deglutito ed essersi inumidito le labbra: «Una vita passata a non guardare più le ore è l’eternità. Non si potrebbe concepire, a meno di averla provata, la lunghezza di un giorno d’estate che si misuri soltanto con la fame e che finisca soltanto quando si ha sonno», spiega con una nota di solennità. Proprio così, esce dall’angolo Federico Fellini, «non si interrompe un’emozione».

Il gruppo ha dunque trovato l’intesa su due punti: la meta non è importante, conta il viaggio in sé. Più che il tempo e gli orari, è meglio seguire il ritmo naturale delle giornate. E non dimentichiamo, irrompe Henry David Thoreau con quel suo tono di voce perennemente pacato e lo sguardo riflessivo, che «l’uomo che viaggia solo può partire oggi, ma chi viaggia in compagnia deve aspettare che l’altro sia pronto». Peter Matthiessen, biglietto di sola andata da Sagaponack, nello Stato di New York, è il più eccitato. Non vede l’ora di mettersi in cammino perché sa che ogni passo è già viaggio e il luogo del cuore non è tale se raggiungerlo non è un’impresa in qualche modo eroica ed epica. Scriverà più tardi al ritorno: «E poi eccomi finalmente al sole, in cima all’ultimo dei grandi passi, mi levo il berretto di lana affinché il vento mi schiarisca le idee; cado in ginocchio, pazzo di gioia, morto di stanchezza, in quello stretto passaggio tra due mondi».

Certo, sorride sornione Italo Calvino, che per tutto il tempo ha osservato divertito la discussione, i momenti di riflessione e gli scatti di ira, i ragionamenti sul valore della fatica, sull’impazienza di partire e sull’importanza delle leggerezza sulle spalle e nella testa, questo è un viaggio di gruppo, ma se ci mettiamo in cammino un motivo c’è. “Quale?“, domanda più di uno. «Un uomo si mette in marcia per raggiungere, passo a passo, la saggezza», risponde con un altro sorriso. Per cercare il proprio sentiero, il camminatore gratta via la superficie patinata della cartolina e rovista alla ricerca del più autentico spirito del luogo o non luogo. Lo fa con inquietudine, mosso da una forza istintiva e appassionata, da qualcosa che lo spinge via, sulla strada.

Solo a quel punto, felicemente smarriti nell’immaginazione del viaggio insieme, si accorgono di essere in nove. C’è un posto vuoto su una delle due panche ai lati del tavolo. Cinque da una parte, quattro dall’altra. Non si sono resi conti dell’assenza di José Saramago. Eppure era stato proprio lui a invitarli uno per uno. Com’è stato possibile? È già in viaggio, sorride per la terza volta Italo Calvino, che si alza, infila una mano nella tasca della giacca blu ed estrae una piccola busta bianca. La apre: contiene un biglietto scritto a mano, in portoghese, che riesce a tradurre in tempo reale, avendolo letto e riletto per tutta la serata precedente: «Il viaggio non finisce mai. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già fatti, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre».

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RIFERIMENTI:

Viaggi a piedi Le Vie dei Canti


 

Tra Terra e Cielo
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