L’arte nel viaggiare e le domande che camminano

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L’arte nel viaggiare e le domande che camminano

Courtesy dell’artista e dell’Associazione culturale Dello Scompiglio

Questo è il racconto del matrimonio tra il cammino e l’arte contemporanea. Due così a formare una coppia è difficile da immaginare. Il primo risale alle origini dell’uomo. La seconda, all’opposto, non ha altro modo di dirsi contemporanea che essere qui e ora. L’unione si celebra a Lucca in una domenica mattina di gennaio. Esattamente nel centro di piazza San Martino, a qualche decina di metri dal Duomo, quello che custodisce il crocifisso di legno del Volto Santo, punto di arrivo dei pellegrinaggi medievali, e il monumento funebre a Ilaria del Carretto, la nobildonnna morta di parto a 26 anni e protetta per l’eternità da un piccolo cane di marmo ai suoi piedi che la guarda come a chiederle perché non possa più accarezzarlo. E soprattutto le nozze si consumano all’ombra del labirinto scolpito sopra una pietra del porticato di fronte all’ingresso della cattedrale, originaria fonte di ispirazione di questa iniziativa.

Qui, nel suo apparente anonimato e incurante degli umori del mondo esterno, torreggia un elegante tendone grigio con sei lati, tutti chiusi. È una installazione artistica. Si chiama “Una domanda che cammina” e a metterci la firma è Valerio Rocco Orlando, 37enne milanese formatosi alla Cattolica di Milano e perfezionatosi in regia cinematografica presso la Queen Mary University di Londra. Si tratta di un’opera d’arte temporanea. Nomade, secondo il linguaggio dei camminatori. Di fatto viene montata e smontata nell’arco di una giornata. Al suo interno si tengono incontri individuali tra il pubblico e un ospite dell’artista. Il partecipante non sa mai chi l’attende: lo scopre solo se decide di entrare e di aspettare il suo turno.

Decidiamo di entrare. Messi i piedi nella tenda, dopo aver avuto l’accortezza di lasciare le scarpe all’esterno e chiudere l’ingresso alle spalle, ci rendiamo conto di esserci ficcati in una nuova dimensione. Un buco nero dove tutto inizia e tutto finisce. Una sorta di iperuranio. Ad accoglierci in un salottino comodo e ricercatamente spoglio, è una sconosciuta con cui iniziare un dialogo, a partire da una domanda, intorno ai temi del pellegrinaggio e dell’ospitalità. Che poi tanto sconosciuta non è. Davanti ci troviamo Daniela Attanasio, una delle voci più importanti della poesia italiana. Ma ogni installazione è una sorpresa. In futuro Orlando coinvolgerà anche l’artista albanese Adrian Paci e Cecilia Strada, presidente di Emergency.

La conversazione con Daniela Attanasio è poco significativa nel rendere il senso artistico della Domanda che cammina. Lo è molto di più la forma, che in questo caso diventa sostanza, con cui la poetessa si è proposta: concreta, vicina e visibile ovvero l’opposto di quanto ci si potrebbe immaginare da una donna poeta. C’è stata tanta quotidianità nel confronto, tanto vissuto, tanta terra, con fervore e senza mai perdere il garbo. Un po’, se vogliamo, l’arte di Valerio Rocco Orlando. Una Domanda che cammina è il pellegrino, l’artista, l’ospite: l’arte.

Daniela Attanasio si è messa a disposizione del pubblico in questo spazio altro della tenda, rimanendo seduta per cinque ore e ospitando uno alla volta curiosi, camminatori e ricercatori di sé. Immediato è il richiamo allo spettacolo “The Artist is Present” di Marina Abramović al Museum of Modern Art di New York (guarda il video), in cui i visitatori sono stati invitati a sedersi di fronte all’artista. Tempi e movimenti sono simili, con una sola piccola grande differenza: ai soli sguardi della performance di Abramović, l’installazione di Lucca aggiunge le parole, evidentemente più preziose se a pronunciarle è una delle più importanti poetesse contemporanee.

Il punto centrale è però un altro: la comune volontà di queste due donne di concedersi come in uno specchio nel quale scrutarci, trovare noi stessi e fermare il tempo presente. Nell’immobilità di quegli attimi e nell’assenza di oggetti e distrazioni, ci si rende conto che tutto ciò che possediamo e che nessuno ci può togliere, a prescindere dai ritmi moderni e innaturali, è il tempo. Il qui e ora. Se ci caliamo fino al cuore della volontà dell’artista (anzi, degli artisti, Valerio e Daniela), comprendiamo e ci meravigliamo di quanto hanno ricreato per noi. Il loro è un atto di generosità per sospendere il tempo e guardarci dentro, per davvero.


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