Nei panni di un migrante. Carcere compreso | Flaviano Bianchini

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Nei panni di un migrante. Carcere compreso | Flaviano Bianchini

In effetti per alcuni mesi si erano perse le sue tracce. Una preoccupazione che fa presto a trasformarsi in timore se a svanire nel nulla è un combattente delle grandi multinazionali estrattive nell’America Latina. E il timore sarebbe sconfinato molto presto nel terrore se amici e conoscenti avessero saputo che Flaviano Bianchini, anzi Aymar Blanco, ha perfino trascorso due giorni di carcere in un luogo sconosciuto come tappa intermedia di quella tratta maledetta che porta dal Messico agli Stati Uniti.

Ma ha voluto farlo a tutti i costi, aggrappato a un treno merci, come una delle ottocentomila persone che ogni anno affrontano questo viaggio per raggiungere il sogno effimero ed accecante al di là del muro. «Conosco tutta l’America Latina e complice la carnagione scura e un accento spagnolo perfetto, sono riuscito a nascondermi e camuffarmi e a fare tutto il viaggio come un vero migrante», ricorda Flaviano, ambientalista e naturalista, guida Vie dei Canti e capo dell’organizzazione non-profit Source International.


«In tutti i Paesi dell’America Latina e soprattutto quelli dell’America centrale – fa presente Flaviano – ogni persona che conosci ha un parente o un amico che ha fatto questo viaggio. E lo stesso accade negli Stati Uniti. Se vivi la strada e frequenti le bettole dove si mangia con pochi soldi, se parli con chi pulisce le strade, scopri come siano tutti latinoamericani. Se ci stai dentro, ti trovi per forza impantanato in questa situazione della migrazione». Non tutti raggiungono la meta, l’Eldorado sospirato: 150mila viaggiatori all’anno vengono scoperti e sequestrati o arrestati lungo il tragitto. Così come è capitato a lui.

Due giorni di galera senza sapere dove si trovasse, un numero indefinito di assalti da parte di bande criminali e “legali”. «Siamo partiti in 25 e siamo arrivati in 19». E poi la fame, il freddo, il caldo, la sete, la foresta, le montagne, il deserto e un muro da superare, da abbattere. Già, perché dopo questo lungo viaggio non è finita: c’è un muro. «Non copre tutta la frontiera e presenta dei varchi, tra cui quello che ho percorso io in tre notti di cammino attraverso il deserto del Sonora fino a raggiungere la città di Tucson, in Arizona». La sua storia è ora finita nelle 232 pagine del diario di viaggio “Migrantes, clandestino verso il sogno americano”.




«Dal 1994 – ricorda – il Messico collabora con gli Stati Uniti nel blocco della migrazione. Riceve ogni anno milioni di dollari per fare il lavoro sporco. Il grosso scoglio non è tanto il passare dal Messico agli Stati Uniti, ma quanto attraversare tutto il Messico. E non è un paesino piccolo. In base al percorso, il tragitto varia da duemila a quattromila chilometri». I migranti non hanno documenti, per cui non possono prendere i mezzi pubblici e l’unica speranza è salire sui tetti o comunque aggrapparsi ai treni merci che vanno da sud a nord. Senza un’identità. In realtà, Aymar ha anche conosciuto la solidarietà e l’amicizia di un popolo e di compagni di viaggio in cerca, come lui, di un precario sogno americano.


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RIFERIMENTI:

 

Source International

Le Vie dei Canti

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