Una volta si diceva che siamo quello che mangiamo. Ora non più. Vegetariani, vegani, marobiotici, lattofobi, crudisti, sushisti, naturisti, no gluten, carnivori, fruttivori, localivori: tutto fuorché onnivori. Ormai i cittadini globali si dividono in tribù alimentari. Ciascuna si identifica nelle sue passioni e ossessioni, totem e tabù. Tofu contro carne, soia contro uova, quinoa contro grando, crudo contro cotto. Insomma, se il cibo è il pensiero dominante del nostro tempo, la dieta ha smesso di essere una misura del benessere per diventare una condizione dell’essere. Come dire che se una volta eravamo noi a fare la nostra dieta adesso è la dieta a fare noi.
Fra etica e dietetica la ricerca del modello alimentare virtuoso è diventata la nuova religione globale. E come tutte le religioni nascenti produce continue contrapposizioni, scismi, eresie, sette, abiure. Ciascun credo si ritiene l’unica via verso la salvezza e verso l’immortalità. O almeno quel suo succedaneo salutistico che chiamiamo longevità. Così anticipiamo il giorno del giudizio e facciamo del dietologo una sorta di Dio giudice. O di Dio una sorta di dietologo improprio, che dispensa premi e castighi qui e ora. Ecco perché la dieta non è più una misura di benessere, ma una condizione dell’essere.
Marino Niola, Homo dieteticus: Viaggio nelle tribù alimentari. Edizioni Il Mulino, pp. 152, anno di pubblicazione 2015, euro 13.