Ci sono due anime in Elisa Bozzi. C’è quella ruggente che mostra nel piglio e nella determinazione con cui gestisce il suo maneggio. E c’è quella dolce di un flauto di Pan che viene fuori quando racconta il suo amore per i cavalli. D’altronde è inevitabile per chi ha montato il suo primo puledro a 7 anni e fino ai 18 ha conosciuto il sapore della competizione agonistica delle discipline olimpiche. Elisa è una di quelle donne che è andata incontro al proprio destino. Ha voltato pagina e iniziato a riempire un nuovo capitolo della sua vita con il trasferimento in Garfagnana, a Pieve Fosciana, nella provincia montana di Lucca. Qui è nata l’associazione “Il cavallo Enquiso”, centro di cultura equestre e montana, di cui è presidente. Ma la svolta mentale è arrivata prima, con il viaggio di un mese dall’Appennino alle Alpi in compagnia della sua cavalla.
E adesso chi è Elisa Bozzi?
«Una persona per cui il cavallo e la montagna sono la mia libertà e il mio lavoro. Vivo con la mia famiglia al campo base dell’associazione, cercando di creare un’oasi dove trovare umanità, qualità della vita, rispetto delle forme viventi e della Terra».
Cosa ti è servito per dare una svolta alla vita?
«La volontà e la convinzione di fare e di creare dal nulla un posto speciale per noi e per gli ospiti. Se ci sono questi ingredienti si superano tutte le difficoltà. La nostra è una bella avventura: viviamo in maniera più naturale e in contatto con la natura, ci nutriamo con i prodotti della Terra e abbiamo a disposizione tanti buoni itinerari per camminare e fare trekking a cavallo».
Che differenza c’è fra un trekking a piedi e un trekking a cavallo?
«Amo camminare sui sentieri, ma è grazie ai cavalli che sono riuscita a vedere più in là dei miei scarponi. Il cavallo è la mia guida e il mio compagno, a volte fragile, a volte incredibilmente forte, mi fa vedere e provare cose altrimenti nascoste a noi umani».
Qual è il tuo personale rapporto con i cavalli?
«Innanzitutto noi li gestiamo in maniera naturale. Vivono in branco in un ettaro e mezzo di pascolo recintato e conducono una vita simile a quella originaria. Sono cavalli sereni e felici, cosa che non sempre accade in altri maneggi. Lo facciamo per il loro benessere: per noi non è un’attività lucrativa. I cavalli non sono una moto in cui il primo che arriva sale e parte. Con loro c’è uno scambio: noi proponiamo una vita sana e felice e loro ci offrono la loro compagnia e ci insegnano tantissimo».
Cosa?
«Sono un lasciapassare verso una dimensione naturale che spesso l’uomo non è in grado di cogliere. Il livello di sensibilità dei cavalli è maggiore perché percepiscono un mondo quasi scomparso. Hanno la grande capacità di mitigare l’animo umano. Viviamo e lavoriamo insieme. Loro sono cavalli, niente di più e niente di meno, e per questo li amo e li rispetto. Siamo il branco».
Quanti sono i cavalli del branco?
«Sono cinque con cui facciamo trekking dai due ai cinque giorni e anche di più».
Hai un cavallo preferito?
«Sì, sono due cavalle molto giovani, di cui una è ancora una puledra. La più grande ha un’indole vivace e viene cavalcata solo da me. Anche domare la più piccola è stata una sfida che in realtà sta ancora continuando».
L’associazione “Il cavallo Enquiso” propone escursioni a cavallo, lezioni di equitazione, trekking e laboratori: sono attività per tutti?
«Sì, perché proponiamo sia itinerari turistici per chi non vuole rinunciare alle comodità di casa e sia viaggi più faticosi con bivacco notturno. Chi partecipa alla vita e alle attività di Enquiso non pratica sport, ma condivide un’esperienza, o addirittura uno stile di vita, o degli ideali, pur con le tante differenze del caso, e ognuno arricchisce il gruppo con le proprie esperienze».
Qual è il primo consiglio?
«Di iniziare per gradi e verificare il proprio livello di preparazione. Anche per questa ragione organizziamo laboratori introduttivi senza stress e senza fretta».
Ma chi è il cavallo Enquiso?
«Enquiso era un cavallo come tanti: quando venne affidato a mio nonno durante l’ultima guerra mondiale, era anziano, aveva i segni delle focature sui garretti. Mio nonno è geometra, non era mai montato a cavallo in vita sua, ma gli fu assegnato Enquiso per spostarsi e poter compiere misurazioni per il puntamento dei cannoni. Imparò il minimo indispensabile per stare in sella, e così Enquiso diventò suo compagno. Mio nonno serbava per lui le briciole di pane nella tasca del giaccone, e lui aveva imparato a ficcarci il naso per mangiarle… Di Enquiso ne sono esistiti, ne esistono e ne esisteranno tanti, è anche grazie a loro che ci sentiamo vivi. Ogni cavallo e ogni cavaliere hanno vissuto o vivranno esperienze, banali o straordinarie a seconda dei punti di vista, eppure uniche e indimenticabili. Per questo abbiamo dedicato l’associazione alla memoria di Enquiso, e vorremmo poter raccontare la storia di mille e più cavalli come lui, e dei loro cavalieri».
Cosa pensi del Palio di Siena?
«È diventato sempre più pericoloso perché cavalli e fantini sono troppo esposti. E poi i tanti incidenti non sono un buon biglietto da visita per l’immagine della città. In passato non c’erano cavalli così veloci e così fragili come adesso. Le immagini degli incidenti sono un obbrobrio».
RIFERIMENTI:
CAVALLO ENQUISO