David Le Breton: il cammino? Roba per sfaccendati

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David Le Breton: il cammino? Roba per sfaccendati

Tutte le volte che pronuncia la parola marche, l’equivalente di cammino, il nostro idioma ci rimanda a un mondo tutt’altro che lento e pacifico. Ma David Le Breton, scarpe da trekking ai piedi, maglietta nera poco trendy, un filo di barba incolta e cappellino calato sulla testa, sa bene quel che dice: dal cammino come forma di resistenza all’elogio della lentezza, dagli aspetti sovversivi dell’andare a piedi al marciare come celebrazione dei cinque sensi. Declina ogni pensiero con chiarezza cristallina calibrando le parole con attenzione. Non è un caso che, successi editoriali a parte, sia uno degli ospiti più richiesti dai tanti festival di fine estate. A partire da quello della mente a Sarzana.

Già, perché in una società come quella di oggi in cui i valori centrali sono velocità, efficienza, rendimento e utilità, il cammino «è per me l’elogio dell’inutile, da fare solo per il piacere di farlo». Spiega l’autore del libro “Il mondo a piedi. Elogio della marcia”: «Un grande alpinista britannico che ha scalato l’Everest si è sentito un giorno chiedere: lei perché scala le montagne? La sua risposta è stata: perché le montagne ci sono. E lo stesso vale per noi: camminiamo perché i sentieri ci sono, sono là».

Cammino e lentezza formano una coppia che funziona: «Il camminatore va a cinque km all’ora ed è colui che prende il tempo e non si lascia prendere dal tempo». Non è una sottigliezza terminologica, ma una differenza di approccio: «Chi cammina sceglie il tempo della sosta e dello spuntino e non si adegua alle scadenze imposte». Le Breton snocciola uno dopo l’altro i grani del rosario del cammino: «La marcia è l’elogio della conversazione e non della comunicazione perché mai come in quella circostanza siamo capaci di parlarci, di ascoltarci e di stare in silenzio senza imbarazzo come accade in altri contesti sociali».

Ci sono aspetti sovversivi nel camminare? Sì, «perché il camminatore è uno sfaccendato per definizione che si prende i suoi tempi in una società che non ammette i bighelloni. Il perder tempo è oggi considerato scandaloso. In questa società siamo vittime del tempo, del tempo che manca».

Il cammino è anche riscoperta del corpo: «La nostra società lo utilizza ma lo considera un ingombro e una fatica. Trascorriamo la maggior parte del tempo stando seduti senza alcun esercizio fisico davanti a un computer o alla guida di una macchina. In queste condizioni il corpo ci pesa e non avvertiamo la felicità che la fatica del cammino porta con sé. La marcia è allora un elogio dell’anacronismo».

(1/continua)

David Le Breton è professore di sociologia all’Università Marc Bloch di Strasburgo, membro dell’Institut Universitaire de France e autore di numerosi saggi sull’antropologia del corpo. è autore fra l’altro di La pelle e la traccia. Le ferite del sé (Meltemi, 2005), Il sapore del mondo. E’ anche autore di Un’antropologia dei sensi (Raffaello Cortina, 2007), Antropologia del dolore (Meltemi, 2007) e Antropologia del corpo e modernità (Giuffrè, 2007), Il mondo a piedi. Elogio della marcia (Feltrinelli, 2001).

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