L’agricoltura del non fare | Raffaella Nencioni

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L’agricoltura del non fare | Raffaella Nencioni

La sorprendiamo un venerdì mattina con i guanti sporchi di terra, un maglione da battaglia con le maniche sollevate a tre quarti, una bandana sulla testa e un bel sorriso sul volto. «È una questione di energia positiva che viene trasmessa anche alle piante dell’orto», spiega Raffaella Nencioni, una che lavora sul campo nel vero senso della parola.

A circa due settimane dal corso di agricoltura sinergica aperto a tutti che proporrà a Corfino, sui monti della Garfagnana, all’interno del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, Raffaella racconta le origini del suo amore per la coltivazione e il selvatico: «Quando ero piccola ho vissuto su una collina nella provincia di Ascoli Piceno. L’imprinting deriva da lì: 15 famiglie che si davano vicendevolmente una mano e ognuna con un compito preciso. Chi si occupava della cura del forno, chi si preoccupava di cucinare e chi aiutava nella trasformazione del vino nei giorni della vendemmia. Sempre al ritmo delle stagioni. Noi bimbi scorrazzavano da un gruppo all’altro pieni di libertà e felicità».

C’è un’immagine di quell’infanzia che ricordi?
«Sì, le fette di pane strette e lunghissime su cui veniva spalmata la marmellata d’uva. E poi io che andavo a raccogliere le uova sul pagliaio. Sono momenti ed esperienze che ti segnano e non si dimenticano. In seguito sono tornata a Pontedera, nella provincia di Pisa, e dopo una breve parentesi in Messico, eccomi a Livorno a briglia sciolta. Qui dispongo di un ampio spazio dove lavorare e divertirmi».

Qual è stato il tuo percorso? Hai iniziato subito con l’agricoltura biologica?
«Sì, credo che sarebbe stato inutile occuparmi di agricoltura convenzionale per ricavare gli stessi prodotti del supermercato, seppur certamente privi di veleni. Con il tempo, per un motivo o per un altro, sono stata costretta a fare uso di tanti flaconi di plastica contenenti sostanze di vario tipo, arrivando ad accumularne fino a 15. Eppure volevo dedicarmi a un’agricoltura pulita e naturale. Da lì il passaggio all’agricoltura biodinamica».

E il numero di flaconi a quanto è sceso?
«A tre. Però rimaneva il problema dei mezzi meccanici, per me faticosi, pericolosi, rumorosi, puzzolenti e costosi, come la motozappa, la fresa e il trattore con l’aratro. Ho quindi conosciuto l’agricoltura sinergica di Masanobu Fukuoka e si è aperto un nuovo mondo, quello dell’agricoltura del non fare».

Cos’è l’agricoltura sinergica? In cosa si differenzia da quella biologica?
«La differenza principale è la non lavorazione del terreno. Ma nascono da due contesti culturali differenti. L’agricoltura biologica è germogliata come risposta all’uso della chimica e lo scopo è la sua sostituzione con metodi naturali. I principi della lavorazione della terra sono però gli stessi dell’agricoltura convenzionale. In quella sinergica vale il principio di Fukuoka dell’agricoltura del non fare. In seguito con l’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip è stato introdotto uno spirito più interventista».

Per esempio?
«L’impiego dei bancali rialzati per catturare più luce, favorire il drenaggio e migliorare la protezione dagli agenti atmosferici grazie a una migliore esposizione. Per Fukuoka è tutto più casuale. I bancali sono le strisce di terra su cui viene fatta la semina».

Cosa serve per realizzare un orto sinergico? Ci sono strumenti indispensabili?
«Uno solo: la vanga foraterra che permette di arrivare a trenta centimetri di profondità, è poco faticosa da utilizzare e soprattutto non inverte gli strati del terreno. La parte più fertile del suolo si trova a 5-10 centimetri di profondità: rigirare la zolla significa mettere in superficie quella più povera e meno nutriente. Una volta fatto il bancale, poi, servono il paletto o il cavicchio, le forbici e l’innaffiatoio se non c’è già un sistema di irrigazione».

Perché l’orto sinergico ha spesso una forma a spirale?
«Perché le forme curvilinee offrono un maggior assortimento di microclimi diversi e in qualche modo fanno da parabola catalizzatrice dei raggi solari. E poi fanno girare molto meglio l’energia rispetto a quelle squadrate».


Quali sono gli ortaggi che coltivi di più?
«In realtà coltivo tutto per l’autoconsumo. Il di più viene scambiato».

Quante ore al giorno trascorri sul campo?
«In questo periodo due ore al mattino e due al pomeriggio tutti i giorni. D’estate i tempi si allungano».

Cosa si riesce a imparare nei tre giorni di corso proposti al Rifugio Isera a Corfino, in Garfagnana, fra il 27 e il 29 marzo 2015?
«Le conoscenze base per realizzare un orto sinergico con i consigli di una persona che ha fatto un’esperienza pratica. Non è un corso omologato perché sono offerti consigli pratici sulle minime cose da fare. Sono piccoli segreti che non si imparano sui libri ma solo in un corso concreto».

Il pollice verde si ha o si può conquistare?
«Si può anche conquistare perché dipende dall’energia che ciascuno emana e dalle frequenze in cui si sintonizza: le piante captano le vibrazioni. Per cui lavorando su se stessi e sulla parte spirituale ci si può impossessare del pollice verde».


RIFERIMENTI:

Corso di agricoltura sinergica – 27-29 marzo 2015

Tra Terra e Cielo
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Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

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