Cari greci, come va? Qui è l’Italia che vi parla, la vostra dirimpettaia, quella che avete colonizzato quasi tremila anni fa con poche armi e molti ragionamenti: vi ricordate di noi? Da queste parti c’è ancora tanta Grecia. Ho sempre pensato che le lente passeggiate con le mani allacciate dietro la schiena nelle prime ore del pomeriggio degli uomini di mezza età, molto frequenti nelle piccole e medie città del sud Italia, siano le stesse dei grandi filosofi greci del passato. Stesso incidere, stessi tempi, stesso modo sornione di osservare. A ogni modo, in questi giorni stiamo seguendo con attenzione la vostra vicenda.
La Grecia uscirà dalla moneta unica? E dall’Unione europea? Diciamola tutta, la nostra preoccupazione non ha ragioni economiche. O meglio, le ha solo in parte. Pochi di noi sono in grado di capire e prevedere l’impatto del primo abbandono della storia dell’integrazione europea. Ma molti di noi capiscono perfettamente come l’importanza economica della Grecia sia minima, quasi trascurabile. Non prendetela a male: essere più poveri, per ragioni storiche o naturali, non è una colpa. Tanto per avere un’idea, il contributo della Grecia al bilancio dell’Unione europea in rapporto al reddito nazionale lordo è pari allo 0,99%. Sì, proprio così: la Grecia bonifica Bruxelles con meno dell’1% del suo conto in banca, pari a circa 1 miliardo di euro. E’ come se un lavoratore che guadagna circa 1.200 euro al mese versi un contributo di quasi 12 euro. Spiccioli.
Qualcuno dice che i debiti, grandi e piccoli vanno risanati. Vero, ma per farlo occorre tempo. Tempo per far ripartire l’economia. Tempo per attrarre investimenti. Tempo per creare posti di lavoro. Tutto sta nel ticchettio dell’orologio ovvero nel periodo di grazia concesso. In quest’ultima fase la trattativa si è inviluppata dentro questioni perlopiù meschine. Nei dettagli la distanza non è grande, ma è la mancanza di fiducia reciproca a esasperarla. L’impressione è che il futuro dell’unione monetaria sia appesa a una contrattazione da suk.
Noi non vogliamo che sia l’economia a staccare la spina alla Grecia e a buttarla fuori dall’Europa. Già, curioso a dirsi, ma la parola economia l’hanno inventata proprio in Grecia. E, gioco del destino, anche il nome Europa deriva dalla lingua ellenica: è una figura mitologica e significa grandi occhi. Gli stessi che guardano la Grecia con sufficienza, ne conoscono il prezzo ma non ne comprendono il valore.
Sarà forse che da quelle parti non si parla, così come da noi del resto, una sillaba di inglese? E che il greco sia considerata una lingua morta? In realtà per gli studenti dei nostri licei classici è viva, vivissima. Basterà fra un anno esatto presentarsi all’uscita delle scuole e informarsi sull’esito della traduzione della versione per gli esami di maturità, per farsi un’idea.
Come lasciar scivolare dall’Europa un paese i cui resti del passato sono ospitati nei principali musei delle grandi capitali? Al British Museum ci sono pezzi del Partenone e guai a restituirli ai discendenti di Fidia. Addirittura la prima opera che si incrocia al Louvre di Parigi è la Nike di Samotracia. Suppur priva di braccia e testa, il suo valore scavalca evidentemente tempo ed epoche per essere stata scelta come madrina per i visitatori.
E poi c’è un motivo in più per volere bene alla Grecia: eros e thanatos. Eros, nella mitologia dell’antica Grecia, è il nome del dio dell’amore. Thanatos è una divinità che personifica la morte. Fermiamoci qui: ci sarebbe da perdersi in quei labirinti di genealogie, di saghe e di avventure. E’ sufficiente ricordare come, fin dalle epoche più lontane, sia ben radicata nella nostra percezione la presenza di due tendenze nell’essere umano: una, aggregante, incline ad affermare il valore della vita; l’altra, tendente a respingerla con pari intensità. Sarebbe sin troppo facile e scontato immaginare chi rappresenta eros e chi thanatos in questo scontro.
Cari greci, grazie per avere letto questa breve missiva: è quella che indirizzeremo a Bruxelles.
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