A chiedere che Udo diventasse uno di loro sono stati proprio i parenti dei martiri dell’eccidio. Siamo a Fivizzano, piccolo comune di 94 frazioni nella Lunigiana. Udo Sürer, avvocato, 59 anni, è figlio di un ufficiale nazista. Uno di quelli che con un solo cenno del capo aveva il potere di ordinare una strage. E lo aveva fatto veramente, facendo fuori il 19 agosto 1944 più di 400 persone e riuscendo così a rendere famigerato il sedicesimo plotone delle SS comandato da Josef Maier. Sì, perché Sürer non è il vero cognome di Udo. Lo ha cambiato dopo aver rovistato fra le carte di famiglia e aver scoperto i crimini del padre. Da allora è iniziato un percorso di ricerca che lo ha portato a visitare Fivizzano, a guardare negli occhi i parenti dei morti e a caricarsi «la responsabilità di ciò che è accaduto». Il ricordo di quelle giornate e della paura di non essere accettato è ancora vivido: «Quando seppi finalmente la verità mi misi a piangere come un bambino e per mesi ho avuto lo stesso incubo. Sognavo di sprofondare nel letame e nel sangue, tra corpi martoriati. È stato terribile, ma anche una catarsi».
Anche se questa storia insegna come non sempre le colpe dei padri ricadono sui figli, Udo come un novello Atlante avverte il peso della storia. Ma mantiene la lucidità necessaria per capire come non serve chiedere scusa. O almeno, come le sue personali scuse siano inutili. «L’atrocità dei fatti – è il pensiero di Udo – ha raggiunto una dimensione troppo grande per un semplice perdono». E poi, «prima del perdono ci vuole il colpevole pronto a pagare per quello che ha fatto e poi pronto a chiedere scusa lui stesso. Questa comprensione non l’ho mai accertata in mio padre». Infine «io personalmente non posso chiedere scusa perche non sono colpevole. Non credo in nessuna colpa collettiva, anche famigliare, benché la responsabilità collettiva del popolo tedesco e austriaco la vedo chiaramente».
Adesso Udo Sürer è un legale impegnato nella difesa dei diritti degli immigrati, uno che pubblica sulla sua bacheca di Facebook gli appelli di Amnesty International, uno che con umiltà, rispetto e dignità, torna periodicamente a San Terenzio e Vinca, teatro degli eccidi, per ricambiare l’inaspettato amore che ha trovato.