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Temuto dalle multinazionali estrattive, “ma non sono Chico Mendes” | Flaviano Bianchini

C’è qualcosa di irresistibile in Flaviano Bianchini. Siamo davanti a un amalgama di impeto giovanile e rigore scientifico, slancio umanitario e passioni travolgenti. Ambientalista e naturalista, guida ambientale con Le Vie dei Canti in Lapponia e sulla West Highland Way in Scozia, sui monti Sibillini e sulle Dolomiti, è il fondatore e il direttore di Source, organizzazione non-profit che sbatte in faccia alle multinazionali minerarie e petrolifere prove certe e certificate di disastri ambientali. Lo fa sporcandosi le mani sui luoghi dei misfatti e ragionando nel suo ufficio-casa di 30 metri quadrati a Calci, in provincia di Pisa. E stando ai risarcimenti milionari che fa piovere addosso alle piccole comunità dell’America Latina, riesce a fare centro. La storia della sua Ong è finita anche sul Corriere della Sera con tanto di videointervista.

Allora Flaviano, che effetto fa aver catturato l’interesse di Via Solferino?
«In realtà nessun effetto particolare perché in un certo senso ci siamo abituati. All’estero siamo usciti su diverse testate importanti (Mercury news, Forbes, La Jornada). In Italia si arriva sempre con un po’ di ritardo. Diciamo che fa sicuramente molto piacere catturare l’interesse anche in quello che è il mio paese e che, per scelta, è la sede di Source International».

Perché questa scelta?
«Potevamo mettere la sede di Source in un qualunque altro paese e avremmo probabilmente avuto vita più facile, però abbiamo scelto di restare in Italia e fare qualcosa anche per il nostro paese e quindi essere riconosciuti dal giornale più importante d’Italia è sicuramente un bel risultato».

Cos’è Source International?
«Source International è un’organizzazione non-profit che aiuta le comunità che affrontano inquinamento e violazioni dei diritti umani da parte di industrie estrattive. Noi siamo degli scienziati che, al posto di studiare la riproduzione di qualche microrganismo o di fare ricerca per delle grandi multinazionali lo facciamo per le comunità. Le multinazionali estrattive e i governi hanno a loro disposizione i migliori scienziati del mondo. Le comunità non hanno nessuno. O meglio, non avevano nessuno. Ora hanno Source International».

Perché l’hai fondata?
«Perché ce n’era bisogno e sentivo che potevo dare il mio contributo in questo modo. E penso di aver avuto ragione».

Come sei finito a occuparti di America Latina?
«Un po’ per caso. Nel 2005 conobbi un’attivista guatemalteca che era in Italia per una serie di eventi. Lei era la direttrice di un’organizzazione che nel suo paese si occupava, tra le altre cose, della questione delle miniere. Parlando con lei mi accorsi che erano molto carenti dal punto di vista scientifico. Gli chiesi il perché e lei mi rispose che non avevano la possibilità di “accedere” al mondo degli scienziati. Io mi stavo per laureare in Scienze ambientali e naturali e mi proposi di aiutarla».

In che modo?
«Raccolsi un po’ di fondi (7.000 euro, parte dei quali pubblici: quelli erano ancora tempi di vacche grasse!) e partii per il Guatemala dove trascorsi un anno a fare ricerca scientifica sull’impatto delle miniere in Guatemala, Honduras e El Salavador. Lì realizzai l’estrema gravità della situazione e decisi allora di concentrarmi ancora di più su questo problema. Ricominciai a studiare e nel frattempo feci altri progetti (Perù, Argentina, Nicaragua e altri) e, sette anni e molte avventure dopo, nacque Source International».

Quali sono stati i risultati?
«In questo breve periodo abbiamo raccolto molto di più di quello che ci aspettavamo. Quando abbiamo fondato Source International pensavamo “noi lo facciamo lo stesso ma ne vinceremo una ogni cento”. Invece in soli due anni abbiamo già raggiunto bei risultati. In Perù, in ben due zone dell’Amazzonia,abbiamo ottenuto un piano di emergenza e pulizia ambientale. In Messico abbiamo conseguito un risarcimento di circa dieci milioni all’anno per cinque anni per la comunità di Carrizalillo. In Honduras abbiamo conquistato un cambio nella legge mineraria. E poi altri successi minori che però per noi sono importanti».

Qual è la stata soddisfazione più grande?
«Sono state diverse. Oltre ai riconoscimenti internazionali come il Tech Award o l’Ashoka fellowship o alla soddisfazione di vedere riconosciuti risarcimenti milionari a piccole comunità, ci sono quelle di tutti i giorni nelle comunità e che valgono molto di più. La vecchina che ti riconosce anni dopo e ti ringrazia per quello che fai, la comunità che raccoglie fondi equivalenti a poche decine di euro e te li offre per portare avanti altri progetti, la signora dell’osteria che non ti fa pagare il pranzo perché “sei qui per aiutarci” e tante altre piccole cose che però valgono moltissimo».

Avendo a che fare con imperi economici con risorse illimitate, hai mai avuto paura? Sei cosciente dei rischi che corri?
«Siamo più che coscienti dei rischi che corriamo ma abbiamo anche le nostre tecniche per evitarli. E poi abbiamo le comunità che in un certo senso ci difendono. Mentre ero in Honduras con una troupe televisiva di Chicago (per girare questo video) il cameraman mi chiese perché non avevo guardie del corpo e io gli risposi “che me ne faccio? Io ne ho 20.000 di guardie del corpo perché tutta la comunità è con noi”».

Cosa scatta in te tutte le volte che decidi di metterti contro questi giganti?
«La motivazione credo sia sempre più o meno la stessa. È dettata principalmente dalla rabbia per un sistema che fa gli interessi di pochi a discapito di molti. E questo vale su scala locale ma anche globale. Non si tratta solo dell’1% ricco e il 99% povero. La questione è molto più complessa. Ci sono disparità nel mondo che non hanno alcun senso di esistere; ci sono persone che si lamentano di non arrivare a fine mese col Suv, c’è chi dice che avere uno smartphone deve essere considerato un diritto e poi ci sono 850 milioni di persone al mondo che non hanno accesso all’acqua potabile. E non perché vivono nel deserto come vogliono farci credere le pubblicità delle Ong caritatevoli. Nessuno vive dove non c’è acqua e l’acqua non è mai inquinata da sola. Se questi 850 milioni di persone (17 Italie, per capirsi) non hanno acqua è perché c’è qualcuno o qualcosa che quell’acqua la inquina, magari per produrre i telefonini che noi consideriamo ormai oggetti da collezione o la catenina d’oro che da noi è scontata anche per chi “non arriva a fine mese”».

Le comunità locali credono in te?
«Questa è la forza di Source International. Le comunità sono i nostri alleati. Sono loro che ci chiamano, sono loro che ci sostentano quando siamo lì (perché noi chiediamo alle comunità di nutrirci e alloggiarci) e sono loro che ci danno la forza per andare avanti. Noi non lavoriamo per le comunità ma noi lavoriamo con le comunità».

C’è qualcuno a cui ti ispiri?
«Ce ne sono molti. Se proprio devo ridurre il numero al massimo direi Nelson Mandela e Chico Mendes».

Qual è la situazione in Italia? Fra i fronti più caldi c’è quello delle trivellazioni in Basilicata…
«E infatti Source International lavora in Basilicata da quando è nata. In Italia la situazione non è delle migliori ma non è nemmeno paragonabile ad altri posti dove lavoriamo. In alcune comunità dell’Amazzonia peruviana dove abbiamo lavorato l’età mediana di morte (ovvero l’età a cui muore il 50% della popolazione) è di 28 anni. A Cerro de Pasco, sulle Ande del Perù, il 100% della popolazione andrebbe ricoverata d’urgenza per la presenza di metalli nel sangue e le morti per malformazioni congenite sono quindici volte maggiori che la media nazionale. In Italia situazioni di questo tipo non ne abbiamo. Ciò non vuol dire che dobbiamo abbassare la guardia e far finta di niente. La Basilicata è il primo esempio. Anche se l’ordine di grandezza dell’inquinamento provocato è un altro, le perforazioni petrolifere in Basilicata creano danni all’ambiente e alla salute. Presto uscirà un nostro nuovo report sulla Val Basento e l’impatto dell’estrazione petrolifera nella zona e vi assicuro che c’è da stare attenti anche lì».

Ci sono altri casi in Italia?
«Sì, nel canale di Sicilia. Un ecosistema delicato e già sottoposto a continue emergenze (prima su tutti quella dei migranti) che vuole essere trasformato in un’area di produzione petrolifera con tutti i rischi che ciò comporta. E Source sta lavorando sul canale di Sicilia ormai da un anno».

E’ possibile collaborare con Source International?
«È possibile aderire a Source International in qualità di volontari, preferibilmente se già con esperienza alle spalle. In questo momento Source non può permettersi nuovi collaboratori retribuiti, ma se qualcuno è disposto a darci una mano è sempre ben accetto».

Come riesci a conciliare questo impegno con l’attività di guida ambientale e con la scrittura?
«Ci riesco un po’ a fatica a dire il vero. Source ormai assorbe il 100% delle mie giornate e delle mie energie e il tempo per scrivere e per fare la guida è sempre meno. Però entrambe sono due cose che mi piacciono molto ed è per questo che, nonostante il tempo e le energie siano poche, cerco sempre di fare un paio di viaggi all’anno e porto avanti sempre qualche nuovo libro. Da poco è uscito infatti Taraipú, un libro sull’Amazzonia che potrebbe essere un bel regalo per Natale (i guadagni andranno a Source International, quindi un motivo in più) e l’anno prossimo ci sarò ancora per qualche bel viaggio con Le Vie dei Canti!».


RIFERIMENTI:

Source International

Source International – Facebook

Source International – Twitter

Source International – Google+

Tra Terra e Cielo
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Abbiamo la convinzione che il cambiamento del pianeta nasca all’interno di ognuno di noi, dall’attenzione che poniamo al cibo che scegliamo, dalla qualità delle relazioni che intratteniamo con il mondo esterno e con noi stessi/e, dal tipo di benessere che ci doniamo.

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