Marijuana per curare le malattie, in Toscana si può

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Marijuana per curare le malattie, in Toscana si può

Via libera in Toscana all’utilizzo della cannabis terapeutica per la cura delle malattie. Le serre sono già pronte, gli stabilimenti sono in movimento, le associazioni di categoria alzano i pugni al cielo. Nessun imbarazzo. «Sarà made in Tuscany» ovvero erba a chilometri zero – gongola il governatore Enrico Rossi – e così «smetteremo di importarla dall’Olanda. Producendola “in casa” risparmieremo e daremo lavoro per la coltivazione e la produzione. La Toscana è una regione all’avanguardia». Se l’acquisto all’estero si aggira intorno ai quaranta euro al grammo, da queste parti la distribuzione sarà rigorosamente gratuita purché il paziente sia residente e domiciliato in Toscana. Conti alla mano sarà prodotto un quintale di cannabis all’anno come fabbisogno nazionale.

Curarsi con i cannabinoidi non vuol dire farsi uno spinello. Almeno non solo. Il ventaglio delle possibilità dell’uso terapeutico del Thc, il principio attivo della cannabis, va dal controllo del dolore cronico neuropatico associato a sclerosi multipla alle infiammazioni, dall’artrite reumatoide al controllo di alcune spasticità croniche, dalla cura del glaucoma alla terapia del dolore, dai traumi cerebrali alla stimolazione dell’appetito nei malati di Aids. Insomma, marijuana per ogni esigenza.

Le regole sono chiare: per produrre cannabis terapeutica, il prodotto deve essere coltivato nello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, il principio attivo deve essere distribuito alle farmacie territoriali e ospedaliere, il paziente deve avere bisogno della prescrizione medica, la sostanza deve essere gratuita, l’autocoltivazione resta vietata. Già, perché il via libera alla cannabis per uso medico non significa libera produzione né libero consumo.

Il processo di lavorazione dura circa tre mesi. Viene fatto il raccolto tagliando solo le infiorescenze non fecondate. Gli operatori prendono il principio attivo, lo pesano e lo confezionano in bustine da cinque grammi.

Entro marzo la legge più progressista in termini di cura a base di cannabinoidi diventerà realtà. Per Paolo Pini, responsabile del servizio di terapia del dolore all’ospedale di Pisa «è un grande risultato» perché «l’azione dei cannabinoidi è più efficace di altri antidolorifici». Per Francesco Crestani, presidente dell’Associazione cannabis terapeutica «oggi appena un decimo delle persone che ne avrebbero bisogno» ne fanno uso per inibire il dolore fisico e la sua percezione a livello mentale.

Fino a questo momento sono nove le Regioni italiane ad aver approvato specifiche leggi per l’utilizzo dei farmaci a base di cannabinoidi per la terapia del dolore e altre cure. Oltre alla Toscana, già ai nastri di partenza, ci sono il Veneto, la Liguria, le Marche, il Friuli Venezia Giulia, la Puglia, l’Abruzzo, la Sicilia e l’Umbria.

Tanto per avere qualche esempio su ciò che accade fuori da questi confini, sono 37 i governatori degli Stati Uniti che hanno introdotto a vario titolo la liberalizzazione della marijuana. In 21 di essi può essere consumata solo a fini terapeutici. Nel 2014 si è aggiunto alla lista lo Stato di New York, su impulso del governatore democratico Andrew Cuomo. Nel Colorado e nello Stato di Washington è legalizzato il consumo: il cosiddetto spinello ricreativo si vende nei negozi specializzati.

Tra Terra e Cielo
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